Il poeta e lo straniero: un Picasso ancora sconosciuto, in risonanza particolare con il nostro contemporaneo.
«Con molta probabilità, Picasso è misconosciuto come poeta. I legami che intrattiene con la poesia sono in realtà profondi, diversi e scarsamente indagati.» Cécile Debray, Presidente Musée national Picasso-Paris
Artista tra i più prolifici e polimorfi, Picasso fu anche un poeta appassionato di letteratura greca e latina. Nel 1930 ha illustrato le Metamorfosi di Ovidio, una serie di incisioni che, con gli affreschi di Giulio Romano, costituisce l’eco perfetta di Palazzo Te ed è al centro della mostra Picasso a Palazzo Te. Poesia e salvezza. L’esposizione, visitabile dal 5 settembre 2024 al 6 gennaio 2025 e curata da Annie Cohen-Solal, storica e saggista, in collaborazione con Johan Popelard, curatore del patrimonio e capo del dipartimento delle collezioni del Musée national Picasso-Paris, è accompagnata da un catalogo illustrato edito da Marsilio Arte e racconta lo stretto rapporto che lega la pratica artistica di Picasso e la poesia, rivelando un aspetto poco noto della sua opera.
Picasso emigra in Francia nel 1900 e viene contrassegnato dalla polizia e dall’Accademia delle Belle Arti come straniero, anarchico e artista d’avanguardia fino al 1944. Accolto inizialmente da un piccolo e generoso gruppo di poeti allora marginali come Max Jacob, Guillaume Apollinaire, Rainer Maria Rilke e Jean Cocteau, Picasso trova nella poesia e in quell’ambiente la forza che gli consente di superare le molte difficolta legate al suo status e di articolare un paradigma estetico fortemente favorevole al cambiamento e alla metamorfosi.
Picasso viaggia così nella poesia, da Ovidio ad Apollinaire, esplorando, con accenti di ironia e angoscia, il potere trasformativo e la mortalità del desiderio, così come la possibilità di un suo riequilibrio attraverso la magia dell’esperienza lirica. Particolare peso assumono per la pratica artistica di Picasso le immagini prodotte da Ovidio nelle Metamorfosi. Nascono così le sue invenzioni mitologiche come la caduta di Fetonte, citata da Giulio Romano nella Camera delle Aquile di Palazzo Te; l’amore di Giove e Semele; la tragica vicenda del principe Cefalo con la bella Procri; la fatale vendetta di Ercole contro il centauro Nesso, le cui storie sono presentate sempre da Giulio Romano nella Sala dei Cavalli; la morte di Orfeo, rappresentata negli affreschi nella Loggia delle Muse; il sacrificio di Polissena sulla tomba di Achille; la seduzione della ninfa Pomona per Vertumno; il Minotauro; l’unione di Pasifae con un toro inviato dal dio Poseidone, raffigurata nella Camera di Amore e Psiche sempre di Palazzo Te.
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La storica Annie Cohen-Solal ha voluto riconsiderare questo “grande amore” della Francia per Pablo Picasso mettendosi alacramente al lavoro sulle carte d’archivio e arrivando a conclusioni inattese e per certi aspetti sconcertanti. Contrariamente a quanto comunemente si creda, la Francia dimostrò più volte una sincera e aperta ostilità nei confronti di questo artista “spagnolo”, definito “straniero”, “anarchico” e per giunta esponente di un’“arte incomprensibile”.
Nel 1901 Pablo Ruiz Picasso ‒ che aveva scelto la capitale francese come sua residenza ‒ si trovò immediatamente schedato dalla polizia parigina, che aprì per lui un fascicolo dall’eloquente intestazione: “Straniero n° 74.664”.
L’incartamento verrà periodicamente aggiornato per molti anni, non solo con il vistoso timbro SPAGNOLO (a lettere maiuscole) apposto spesso sulle carte, ma anche con giudizi che denotano la diffidenza politica nei suoi confronti, il disprezzo per la sua arte e persino toni d’autentica xenofobia: “Non ha prestato servizio militare nel nostro paese durante il conflitto nel 1914”, è “pittore sedicente moderno”, fa “apologia dei Soviet”, è “anarchico sorvegliato dalla prefettura” e poi “parla malissimo il francese, a malapena riesce a farsi capire”.
Nonostante queste ostilità, lo “straniero” Picasso in Francia stava macinando capolavori. A Parigi aveva dipinto Les Demoiselles d’Avignon (1907). Nel 1929 le aveva proposte in dono al Louvre, ma il museo sdegnosamente rifiutò. Poi arrivò Guernica (1937), che l’artista dipinse travolto dall’orrore della guerra civile spagnola in una Francia però completamente indifferente a quella tragedia fratricida, anticamera dell’ecatombe del conflitto mondiale.
Nel 1940 Picasso tentò di ottenere la naturalizzazione francese ma la sua aspirazione venne stroncata. Questa la motivazione: “Straniero privo di titoli per ottenere la naturalizzazione; comunque, visto quanto precede, dev’esser considerato estremamente sospetto”.
Nel 1942 accadde di peggio. Per rinnovare il permesso di soggiorno francese fu costretto a specificare: “Io sottoscritto dichiaro sul mio onore di non essere ebreo”.
La scoperta della precarietà in cui visse l’artista e degli ostacoli che si trovò a superare lungo il suo percorso di vita in Francia sono la trama non solo del libro di Annie Cohen-Solal, Picasso. Una vita da straniero (Marsilio, 2024) ma anche dell’originalissima mostra a esso ispirato, curata sempre da Annie Cohen-Solal assieme a Cécile Debray e allestita dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025 al Palazzo Reale di Milano. Intitolata Picasso lo straniero, la rassegna è promossa dal Comune di Milano ‒ Cultura, prodotta da Palazzo Reale con Marsilio Arte e realizzata grazie alla collaborazione del Musée national Picasso di Parigi, del Palais de la Porte Dorée e del Musée National de l’Histoire de l’Immigration.
Picasso lo straniero presenta un’ottantina di opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video, provenienti dal Museo Picasso di Parigi e dal Musée National de l’Histoire de l’Immigration di Parigi. Un percorso estetico e storico che invita a riflettere sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza avendo come perno la figura e l’opera di Pablo Picasso che, nonostante la Francia fosse diventata la sua casa e la sua fama avesse dato lustro a questa nazione, non otterrà mai la cittadinanza francese. Tardivamente (1958), in effetti, gliela proposero. Ma a questo punto fu lui stesso a non volerne più sapere.
Marco Carminati