È possibile rendere sensibile l’invisibile, dare un volto all’inesprimibile, rappresentare l’assoluto? Nel riflettere sulla scommessa alla base della grande arte di tutti i tempi, Massimo Recalcati dialoga con la poetica di Claudio Parmiggiani, uno dei protagonisti italiani dell’avanguardia internazionale, ed esplora i temi inattuali e controcorrente della sua produzione – il rapporto fra trascendenza e immanenza e fra luce e ombra, l’attrito fra significanti e significati, il potere dirompente del fuoco, il residuo che «non cade nel nulla».
Recalcati analizza la ferita ospitata e accolta in ogni opera: «ogni atto creativo – osserva – non può che generarsi se non da un fondo inconscio che implica, come tale, l’azione della ripetizione. La creazione sublimatoria non può, dunque, emancipare il soggetto – né la sua opera – da questo fondo. Piuttosto ha la possibilità di dispiegarlo in una forma nuova. Sicché la creazione non è l’anti-ripetizione, ma una piega della ripetizione, ovvero un suo rinnovamento singolare».
Intrecciando un fruttuoso dialogo con gli spunti offerti da Parmiggiani, artista del nascondimento e della sottrazione, per il quale «iniziare a parlare del proprio lavoro significa cominciare a tacere perché l’opera è un’iniziazione al silenzio», Recalcati intesse una trama più ampia, che attraverso Eraclito, Platone, Freud, Kandinsky, Lacan, Derrida, Fachinelli, si rivela un prezioso saggio sull’esistenza umana, sulla compresenza ontologica di vita e morte, vero e falso, luce e ombra, presenza e assenza.
In un’epoca segnata dal predominio dell’effimero e dell’esibizionismo narcisistico, fare arte implica scegliere la ritrazione, l’allontanamento, l’oblio. Preservando così lo spazio della preghiera, della poesia, dell’invocazione rivolta all’Altro. La cifra più profonda delle creazioni di Parmiggiani è mettere al riparo la forza evocativa dell’opera d’arte, la sua potenza enigmatica che resiste a ogni tentativo di svelarla e custodisce il mistero inaccessibile del reale.«Sottrarre, nascondere, custodire – insiste Recalcati – piuttosto che mostrare, manifestare, esibire. Il frastuono del mondo si spegne, il registro della semplice comunicazione viene dissestato, l’inflazione tautologica delle immagini sospesa. Cosa resta? Niente, cioè tutto».
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