Casorati
15 febbraio - 29 giugno 2025

Casorati a Palazzo Reale propone una rilettura complessiva del lavoro di Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963), ripercorrendo in ordine cronologico attraverso 14 sale le diverse stagioni della sua produzione, dagli esordi nei primi anni del Novecento fino agli anni Cinquanta.

Sono oltre cento le opere presentate per l’occasione, tra dipinti su tela e tavola, sculture, opere grafiche della stagione simbolista, bozzetti per scenografie di opere realizzate per il Teatro alla Scala, tutte di assoluto rilievo e raffinata qualità, selezionate per la loro esemplare storia espositiva. I prestiti provengono da prestigiose raccolte private e da importanti collezioni pubbliche, tra le quali in particolare la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, dove è conservata la più importante e ricca collezione museale di opere di Casorati, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, il Museo del Novecento di Milano, il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, la Galleria d’Arte Moderna di Genova, la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti di Verona. Cardine del progetto è la stretta collaborazione con l’Archivio Casorati, che ha assicurato il supporto scientifico e la consultazione e condivisione dei materiali documentari storici.

Il legame storico tra l’artista e la città di Milano è uno dei temi della mostra e del catalogo edito da Marsilio Arte. Nel corso della sua lunga carriera, Casorati ha attribuito una funzione strategica a Milano, prima città in Italia a dotarsi di un moderno sistema e mercato dell’arte, riconoscendo alle sue rassegne degli anni Venti lo spazio strategico per un confronto diretto con le ricerche artistiche più aggiornate. Promossa da Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte in collaborazione con l’Archivio Casorati, la mostra è curata da Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli, tra i maggiori studiosi dell’opera casoratiana.

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Oltre cento capolavori di Felice Casorati in mostra a Milano
Racconti da MArte
Dipinti su tela e tavola, sculture, lavori grafici della stagione simbolista, bozzetti per scenografie di opere destinate al Teatro alla Scala: sono i protagonisti della grande mostra, promossa da Comune di Milano-Cultura e prodotta da marsilioarte.it/magazine/gianni-berengo-gardin-uliano-lucas-ugo-mulas/" target="_blank" rel="noopener">Palazzo Reale e Marsilio Arte in collaborazione con l’Archivio Casorati, al via il 15 febbraio 2025. Ecco la nostra intervista ai curatori Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli, tra i maggiori esperti della poetica di Felice Casorati.

In quale modo le geografie esistenziali di Casorati hanno influito sulla definizione della sua poetica, specie durante gli esordi?
Fernando Mazzocca: Come è recentemente emerso dai diari della sorella Giuseppina, la famiglia Casorati dormì la prima notte in via Mazzini a Torino, in quella destinata a diventare la celebre casa-studio dell’artista e a conservare i suoi capolavori, il 30 aprile del 1919. Il trasferimento da Verona non era avvenuto dunque nel 1918 come prima si era creduto.
Torino, che vedrà l’affermazione definitiva del pittore e da cui non si allontanerà più, è come se gli fosse stata assegnata dal destino. Lo stesso Casorati esprimerà questo suo convincimento in una conferenza tenuta al gabinetto Vieusseux nel 1953: “In questa città antituristica, che amo per la sua misteriosa, non palese bellezza, in questa città enigmatica e inquietante come una cabala, che ogni giorno bisogna scoprire e poi ancora riscoprire, in cui la nebbia è più luminosa che il sole, in cui la misura non è stata mai dimenticata e non potrà mai essere dimenticata, in questa città quadrata e squadrettata, solo in questa città potevano nascere i miei quadri!”.
Era come se il fascino misterioso e il volto geometrico di Torino si fossero riflessi nello spazio magico e inquietante dei suoi dipinti, almeno quegli interni enigmatici, popolati di figure assorte, dominati dal silenzio, cui sono state più legate la sua identità e la sua fama.
Ma le cose non stanno proprio così. Quando Casorati si trasferisce a Torino ha già trentasei anni e una ragguardevole carriera alle spalle. Era ormai diventato tra i protagonisti dell’arte italiana, in cui si era ritagliato un suo spazio davvero originale. Un’originalità, da lui stesso e dai suoi critici rivendicata come orgogliosa solitudine, che determinerà sempre la sua cifra e la sua fama.
Questa attitudine derivava forse anche dal fatto che negli anni della giovinezza dovesse essersi sentito come uno sradicato, a causa dei continui trasferimenti della famiglia, costretta a seguire nelle sedi che gli venivano destinate il padre militare di carriera. La situazione comincia a farsi più tranquilla quando, a partire dal 1895, i Casorati sembrano più stabili a Padova. Da allora la sua geografia esistenziale è rappresentata, e lo sarà sino al passaggio a Torino, dal Veneto. Padova, Verona, Venezia rappresentano l’ambiente congeniale alla sua formazione e alla sua definitiva affermazione.

La permanenza nella regione veneta contribuì dunque in maniera determinante all’evoluzione della storia artistica di Casorati.
Fernando Mazzocca: A Padova risale il suo esordio, quando, allievo di un bravo pittore locale Giovanni Vianello, partecipa alla sua prima mostra, insieme addirittura a Boccioni, Ugo Valeri e Mario Cavaglieri, interpreti questi ultimi due di un gusto Liberty, diffuso nella città del Santo, in cui anche Casorati si forma. Ma, a partire dal 1903, è decisiva la frequentazione delle famose Biennali internazionali d’arte di Venezia, che gli consentiranno di aggiornarsi. Risale al 1907 il suo esordio, con un acerbo capolavoro come il magico Ritratto della sorella Elvira presentato alla Biennale del 1907. D’ora in poi sarà sempre più presente alla ribalta veneziana che diventerà la palestra dei suoi successi non solo in questo primo periodo, ma anche, e forse ancora di più, quando è ormai stabile a Torino.
Il fondamentale rapporto con l’ambiente veneto, tra Padova e Venezia, si interromperà momentaneamente con il trasferimento alla fine del 1907, sempre a seguito della famiglia, a Napoli dove, come scrisse a Tersilla Guadagnini la grande confidente di quegli anni, ha un “nuovo studio grande e bello”, con la luce che non proviene “dall’alto, ma da una finestrona laterale grandissima”. Si tratta di un ambiente “quadrato”, dal “soffitto altissimo e rotondo”. È curioso che, nel ricordo ‒ mi riferisco a una conferenza tenuta nel 1943 all’Università di Pisa dove parlò della sua vita – quel luogo appaia molto diverso, senza luce, “dalle plumbee pareti e le cui finestre si affacciavano in un angusto e triste cortile”.
In effetti sembra che a Napoli si sia sentito, come confida all’amica, “molto solo… senza appoggi, senza consigli, senza emulazione”. Non esce “quasi mai di casa”, non “vede mai nessuno”, diventando “davvero un orso”. Si mostra infatti insofferente al “sole della bella Napoli” che invece che esaltarlo, come avveniva a tutti, lo “abbacinava”. In questa “monastica solitudine” rimane una consolazione, quella di poter passare “gran parte” del suo tempo a Capodimonte, definito come uno “straordinario Museo”. A partire da questa fondamentale esperienza, i grandi musei, come dopo nel 1909 durante un soggiorno a Firenze gli Uffizi, saranno il suo luogo di elezione dove poter dialogare e confrontarsi con gli antichi maestri, che saranno sempre per lui un imprescindibile punto di riferimento: da Bruegel a Leonardo, da Botticelli a Piero della Francesca.
Nascono così i primi veri capolavori come Le vecchie, ispirato appunto alla celebre Parabola di ciechi ammirata a Capodimonte, inviato alla Biennale di Venezia dove viene acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; come le deliziose Bambine; come Le figlie dell’attrice, esposto a Buenos Aires e acquistato dalla Stato argentino; come il più ambizioso Persone presentato alla “Esposizione Internazionale di Belle Arti”, allestita al Museo di Valle Giulia a Roma per commemorare il cinquantenario dell’Unità d’Italia. È l’unico dei dipinti degli anni napoletani dove il paesaggio, in cui sono inserite delle enigmatiche figure di donna, ricorda la luce di quei luoghi, come quella del magnifico bosco del Palazzo Reale di Portici dove si era recato molte volte ‒ cosa rara per lui che amerà sempre i luoghi chiusi ‒ a dipingere en plein air.

Fu allora che Casorati fece ritorno a Verona?
Fernando Mazzocca: Verso la metà di marzo del 1911 rientra finalmente nel Veneto, nell’amatissima Verona dove risiederà sino al 1918, quelli che saranno ricordati come “gli anni più belli della mia gioventù”. Un periodo molto felice anche sul versante creativo. La descrive come una città “di una bellezza fine e delicata, fatta di cose nobili e squisite, preziosa insieme e semplice come una perla grigia che fulge mitemente”. Le sue antiche chiese lo attraggono con il loro fascino misterioso che non deve essere stato senza influenza su una ritrovata ispirazione e sui nuovi orizzonti che si schiudevano alla sua pittura, sempre più sperimentale e innovativa. I capolavori, creati nello studio veronese, “una sala da ballo molto luminosa, elegante e simpatica”, fanno scalpore alle esposizioni tra Venezia e Roma, ma anche a Bruxelles e Buenos Aires. Inizia una fortuna espositiva che caratterizzerà tutta la sua carriera, facendo conoscere in suoi quadri in tutto il mondo. Questi appuntamenti sono anche l’occasione per aggiornarsi e confrontarsi, potendo vedere dal vero le loro opere, con gli artisti che sono stati i suoi punti di riferimento, come in una prima fase Klimt e successivamente Cézanne.
È tra Verona e Torino che matura quella svolta decisiva, segnata dalla realizzazione delle grandi tempere, come L’attesa, il Ritratto di Maria Anna De Lisi, L’uomo delle botti, Mattino, con cui sembra avere ormai conquistato quella cifra inconfondibile, confermata poi nel 1922 da quel capolavoro epocale che è Silvana Cenni.

Le atmosfere torinesi echeggiano nelle opere dell’artista. Come?
Fernando Mazzocca: I suoi interni con figure, prospetticamente vertiginosi, divengono la rappresentazione emblematica di un’inquietudine esistenziale e di un’ansia metafisica affatto moderne. Ma è a Torino che questi quadri misteriosi, non compresi dal pubblico e dalla critica, trovano degli straordinari interpreti in intellettuali d’eccezione come Piero Gobetti e Lionello Venturi, seguiti poi, nel corso della sua lunga carriera, da altri amici fedeli come Giacomo Debenedetti, Albino Galvano, Italo Cremona e Luigi Carluccio.
Nella sua città d’adozione Casorati persegue un percorso sempre più originale e personalissimo, tra lo stimolante universo familiare animato dalla presenza della moglie inglese Daphne, anch’essa pittrice come poi il figlio Francesco, e l’Accademia Albertina dove insegna. Trova il suo grande mecenate nello straordinario imprenditore Riccardo Gualino per il quale, come se fosse un principe rinascimentale, si trova impegnato non solo come pittore, ma anche come scultore, decoratore e progettista d’ambienti.

Il legame di Casorati con i Gualino è uno degli snodi della mostra milanese. Perché questo rapporto fu importante e quali esiti ebbe nella produzione dell’artista?
Giorgina Bertolino: Nella sala dedicata a Casorati e Gualino abbiamo voluto riportare in mostra l’atmosfera di una straordinaria stagione torinese, della quale l’artista e il mecenate sono stati protagonisti. La pittura si intreccia al teatro, alla musica, alla scultura e alla danza, a una cultura e a stili di vita raffinati e cosmopoliti. Il rapporto tra Felice Casorati e Riccardo Gualino, collezionista, imprenditore e finanziere sul modello dei tycoon internazionali, inizia nel 1922 con la committenza dei ritratti di famiglia. Su una parete della sala a Palazzo Reale, quei ritratti (Cesarina, Riccardo, il figlio Renato), oggi appartenenti a tre diverse collezioni, si potranno rivedere uno accanto all’altro: aulici, ispirati alla pittura antica e allo stesso tempo modernissimi. Li abbiamo riportati al loro contesto, ricostruendo per frammenti il teatrino privato dell’abitazione dei Gualino, progettato da Casorati e dall’architetto Alberto Sartoris, con tre bassorilievi realizzati dall’artista per il fregio che decorava la sala e con Commedia, una delle sue sculture per il boccascena. Infine, abbiamo richiamato chi si è esibito su quel palco: la danzatrice russa Raja Markman, in primo piano in una splendida tempera di Casorati del 1925, e il compositore e musicista Alfredo Casella, ritratto nel 1926.
Nel percorso dell’antologica, la sala coglie un immaginario, un mondo e, nello stesso tempo, restituisce un capitolo importante dell’arte di Felice Casorati, l’inizio della sua produzione di ritratti, mostrati negli anni venti alla Biennale di Venezia e nelle sale dei musei in Europa e negli Stati Uniti, e la sua esperienza di architetto e designer.  Questo aspetto è approfondito in una sezione del catalogo dedicato agli arredi dell’artista, con un saggio di Davide Alaimo: un invito a visitare la mostra, curata dall’Archivio Casorati, che aprirà in aprile negli spazi dello Studio museo Felice Casorati a Pavarolo, tra le colline torinesi.

Quali punti di vista e quali temi caratterizzano la maturità artistica di Casorati? E quali opere avete selezionato per raccontare al pubblico l’ultima fase della sua carriera?
Francesco Poli: Dopo la fondamentale stagione delle forme plastiche più direttamente ispirate ai valori classici della grande tradizione dell’arte italiana, verso la fine degli anni Venti la ricerca di Casorati incomincia a evolversi progressivamente in una nuova direzione. La sua pittura tende ad aprirsi a una dimensione meno freddamente “metafisica”, più “accogliente”, meno lontana dalla realtà quotidiana, grazie a una ariosa e vibrante vitalizzazione delle atmosfere cromatiche, e attraverso una figurazione più sinteticamente espressiva e deformata dei personaggi e degli oggetti, sempre però all’interno di una logica compositiva molto controllata.
Tra i primi importanti esempi dell’avvio della svolta possiamo citare opere come Aprile (1929-30) e Ragazze a Nervi (1930), luminose composizioni di figure in interni esposte alla Biennale di Venezia del 1930, e qui presenti in mostra.
È da citare anche Susanna o Conversazione platonica (1929), esposta alla I Quadriennale romana del 1931, una straordinaria versione “anticlassica” della celebre Conversazione del 1925. Estremamente interessante è il confronto fra i due dipinti proposto qui a Milano.
Ma il capolavoro che segna nel modo più emblematico il nuovo corso della pittura degli anni Trenta è senza dubbio il magnifico ritratto della moglie, Daphne a Pavarolo, presentato alla Biennale di Venezia del 1934. La seria e armoniosa figura della moglie seduta sul davanzale di una finestra, che ha sullo sfondo i morbidi e sinuosi pendii del paesaggio, è l’immagine emblematica della serenità sentimentale dell’artista, della maturità della sua pittura che deriva da un raggiunto equilibrio fra dimensione psicologica interna e meditata percezione della realtà esterna.
Daphne a Pavarolo, insieme a La Barca (1934) e alle Sorelle Pontorno (1937), riuniti in un’unica sezione, sono i principali capolavori del decennio. Altre sezioni del percorso espositivo sono dedicate alle varie elaborazioni espressive delle figure femminili e dei nudi; all’evoluzione delle nature morte, un tema che è sempre stato di centrale interesse per l’artista, in tutte le sue fasi; e infine anche all’attività di Casorati come scenografo, con una significativa selezione di bozzetti scenici e figurini realizzati per opere del Teatro alla Scala.

Casorati fu, appunto, anche scenografo: come avete scelto di narrare questo suo talento all’interno della mostra di Palazzo Reale?
Giorgina Bertolino: Nella sala che chiude l’antologica, le quattordici tempere con i costumi e i bozzetti di scena ricostruiscono una stagione dell’attività di scenografo di Felice Casorati, con i lavori per il Teatro alla Scala. La follia di Orlando, Le baccanti, il Fidelio, L’amore stregone, Il principe di legno e quindi le musiche di Petrassi, Ghedini, Beethoven, De Falla, Bartók. Il filo della mostra si riavvolge: tornano le tempere, le linee, le stesure à plat del primo Casorati, torna la musica, il primo amore del pittore, il suo inseparabile pianoforte, su cui, prima di disegnare le scenografie, provava e studiava le opere. A chiusura dell’antologica, la sala è anche un omaggio al Teatro alla Scala e a Milano, al ruolo che la città ha giocato nella carriera dell’artista.

Intervista a cura di Arianna Testino

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