Come vede la realtà un grande artista. Parla Anish Kapoor
Racconti da MArte
Si gioca sul confine tra realtà e finzione la mostra che Palazzo Strozzi dedica a uno degli artisti più noti di oggi.
Tra sfide percettive e dialoghi con la storica architettura dell’edificio, Anish Kapoor ci guida nel cuore del suo fare arte e della nuova installazione pensata proprio per la sede fiorentina.

Il titolo della mostra a Palazzo Strozzi è Untrue Unreal. Qual è la sua definizione di “untrue” e “unreal”?
L’arte, se è buona, non si limita semplicemente a veicolare un significato, ma sta in un luogo liminale tra significato e assenza di significato, tra conosciuto e non conosciuto, tra comprensione e confusione. Untrue Unreal fa riferimento alla finzione del significato e a come costruiamo ciò che è vero.

La mostra si basa sul dialogo tra le sue opere e l’inconfondibile architettura di Palazzo Strozzi. In che modo?
La forma della struttura e degli spazi di Palazzo Strozzi mi ha consentito di creare relazioni armoniose e al contempo perturbanti tra le opere e l’edificio. Ho giocato con questi aspetti.

Lei sfida costantemente l’idea di percezione. Qual è la sfida rivolta al pubblico della mostra fiorentina?
Ciò che è vuoto è pieno, ciò che ha peso non ha peso.

La mostra include anche un nuovo intervento site specific. Ci racconta qualcosa di più?
Ho realizzato un padiglione cubico che ha un rapporto molto specifico con il palazzo. La forma del padiglione è intenzionalmente religiosa e centrata.

Lei mette spesso in discussione i concetti di vero e falso, soggetto e oggetto, e i confini che li separano. Come artista, in quale modo descriverebbe la “realtà” creata attraverso il suo lavoro?
Le illusioni del reale sono una costante dell’arte. Molto di ciò che faccio da lungo tempo ha a che vedere con la finzione dell’oggetto. Ad esempio le opere nere che ho realizzato negli ultimi dieci anni sono composte dal materiale più nero dell’universo. Nelle giuste circostanze questo materiale porta l’oggetto oltre il reale, oltre l’essere, nello spazio del non reale, del fittizio. Come Malevič, spinge l’oggetto oltre la terza dimensione, verso qualcos’altro.

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