Lo scrittore Michele Masneri ci fa da guida in quella che è candidata a essere la città del futuro. Non senza una punta di ironia
La Venezia che si offre al visitatore nel 2022 non è solo la Venezia della Biennale del post Covid ma è anche quella di una specie di rinascita della città. Mentre festeggia il suo compleanno numero 1600, sembra che qualcosa stia cambiando. Sarà che le città in generale si stanno reinventando e così le “star cities”, le grandi città che richiamano il desiderio da molti, dove si va a stare, dove si vuole stare (New York, Berlino, Barcellona e tante altre), ma anche Venezia sembra riflettere sul suo ruolo presente e futuro, sempre attraverso la lente dell’arte: così, per vedere le gigantesche tele di Anselm Kiefer a Palazzo Ducale, centro propulsore della Venezia 2022, bisogna fare un giro completo del palazzo, comprese prigioni e Ponte dei sospiri, e lì vedi o rivedi i Tintoretti oversize, il 7×24 metri nella Sala del Maggior Consiglio, e lì capisci che seicento anni fa quella era una specie di Assemblea Generale dell’ONU, centro di potere unico in un’altra epoca, una delle tante che hanno caratterizzato la vita di questa città unica. Città che nasce e rinasce: e oggi molte eccellenti mostre, Marlene Dumas a Palazzo Grassi, il Surrealismo femminile alla Guggenheim, e poi una novità, la milanesissima Homo Faber, rassegna di alto artigianato con “fuorisalone” ovunque (e chissà mai le difficoltà logistiche, tutto su acqua) che quest’anno aggiunge una differenza, con una mostra-mercato diffusa alla milanese. E poi, oltre alle gran folle presenti per la Biennale e a queste nuove iniziative, ecco un insolito brulicare di mostre, di eventi, diversi dalla solita “costituency” veneziana. Sono stranieri o anche italiani che ci vanno ad abitare, e a fare business. Mentre riaprono musei come il Fortuny, e aprono fondazioni: Anish Kapoor ha comprato per la sua il Palazzo Manfrin sul Canal Grande.
La torinese Patrizia Sandretto Re Rebaudengo ha scelto l’isolotto di San Giacomo per aprire la sede veneziana della sua Fondazione, il billionaire-filantropo franco-americano Nicolas Berggruen si è preso la Casa dei Tre Oci e Palazzo Diedo per farne il centro europeo delle attività del suo Istituto losangelino. Si è fatto un gran parlare di come le città stiano cambiando dopo il Covid, con la mobilità sempre più spiccata del lavoro, con la voglia di vivere in un posto che non sia necessariamente vicino a un ufficio. “Yolo economy”, si vive una volta sola, già, ma dove? Una delle profezie che andavano per la maggiore era quella dell’archistar Stefano Boeri, secondo cui dovremmo tutti andare a vivere e lavorare nei “borghi”, nei piccoli paesi con aria buona. Ma forse questa profezia va intesa in senso globale e non locale, e dunque dalle megalopoli bisogna passare alle piccole città, ma dense di cultura, di possibilità di incontri, oltre che ben connesse.
E allora perché non pensare a Venezia? Venezia non come luogo di over-tourism ma come una delle nuove “star cities” del post-pandemia? Non è una megalopoli ma non è provincia, è da sempre nel cuore degli scambi internazionali; posta nel cuore dell’Europa, ha l’alta velocità, l’aeroporto, il mare. Basta evitare certe calli per ritrovarsi in un magnifico borgo, coi suoi cinquantamila abitanti, e i suoi “campi” verdeggianti. E poi naturalmente la bellezza e l’arte che non sono solo una scenografia magnifica per chi ci vuole venire (e per i fortunati che magari ci vogliono abitare), ma anche un richiamo unico per chi fa business e cerca di fare networking: basta stare fermi qui, e, prima o poi, da Venezia passano tutti.
Michele Masneri
BIO
Michele Masneri (Brescia, 1974) vive tra Milano e Roma. Autore e saggista, ha pubblicato il romanzo Addio, Monti (minimum fax, 2014); il reportage dalla Silicon Valley Steve Jobs non abita più qui (Adelphi, 2020) e il saggio su Alberto Arbasino Stile Alberto (Quodlibet, 2022).
Foto cover: Sterling Ruby, HEX, Palazzo Diedo, Venezia 2022. Photo Andrea Avezzù
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