Unito alla propria città da un legame indissolubile, Edmondo Bacci torna metaforicamente a casa grazie alla mostra che gli dedica la Collezione Peggy Guggenheim. Un viaggio nel segno del colore, raccontato dalla curatrice Chiara Bertola, artefice della riscoperta di un artista portentoso
Vorrei partire da un ricordo personale: nel 1982 frequentavo il seminario sullo Spazialismo veneziano di Giuseppe Mazzariol al Dipartimento di Arte dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel quale egli non proponeva le opere come valori già definiti, ma chiedeva agli studenti di non essere ascoltatori e fruitori “passivi” e di incontrarle in un’esperienza il più possibile vera, intima, personale. Anche in quell’occasione, come spesso faceva, aveva invitato diversi ospiti: critici, storici dell’arte, assistenti, professori, come Giulio Alessandri, Franca Bizzotto, Enrico Crispolti, Caterina Deluigi, Dino Marangon e Toni Toniato, e soprattutto gli spazialisti ancora vivi: Luciano Gaspari, Bruna Gasparini e Gino Morandi. Mazzariol concepiva l’insegnamento come uno “spazio d’opera”, convinto che il dire dell’arte fosse possibile soltanto se si era consapevoli del fare artistico del proprio tempo. Fu proprio Mazzariol a consigliarmi di affrontare per la tesi di laurea l’opera di Edmondo Bacci, di cui nessuno aveva ancora studiato e ordinato seriamente l’opera, sicuro che per me sarebbe stata un’esperienza conoscitiva piena e intensa.
Capii che quel consiglio non si sarebbe esaurito in sede di laurea quando varcai per la prima volta la soglia dello studio di Giorgio Bacci, dove erano stati radunati tutti i materiali e le opere del fratello: l’esperienza critica, archivistica, storica gettò i semi di un’amicizia che è rimasta per me un punto di riferimento costante. Giorgio e la moglie Denise mi accolsero da subito in quella piccola casa in calle delle Mende a Dorsoduro, vicino alla Collezione Peggy Guggenheim, dove trascorsi quasi due anni, catalogando foto commissionate da Bacci al fotografo Giorgio Cacco e all’agenzia Cameraphoto, ordinando opere e disegni, schedando la corrispondenza, cercando di rintracciare i collezionisti. In quel periodo frequentai anche la Galleria del Cavallino, punto di riferimento di Bacci, che nel frattempo aveva iniziato a registrarne le opere dando vita a un primo abbozzo di archivio. Contribuii così a dare forma all’Archivio Edmondo Bacci, prima depositato alla Galleria del Cavallino e poi trasferito alla famiglia. Grazie alla passione e all’impegno di Gregorio Bacci, nipote di Edmondo, l’archivio si è conservato ed è cresciuto nel tempo e ora sarà catalogato e ordinato dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Se Mazzariol pensava che il mio sguardo – allora inesperto, ma intatto e incondizionato – potesse aprire l’opera di Bacci all’attenzione degli altri, da allora ho continuato a sentire l’urgenza di questo compito, consapevole che ne valesse la pena proprio per la sua importanza, ma anche che il suo significato dovesse essere sviluppato e sedimentato in modo definitivo. Ora, Bacci torna a casa, in quel luogo dove Peggy Guggenheim aveva saputo riconoscere la qualità della sua pittura e lo aveva sostenuto.
La mostra che ora la Collezione Peggy Guggenheim gli dedica è senz’altro la prima e la più esaustiva personale mai presentata, con la quale si approfondisce la parte più lirica dell’opera di Bacci, sviluppata nel momento più internazionale della sua carriera, gli anni cinquanta, quando, già affermato negli ambienti espositivi legati allo Spazialismo e tra gli artisti contemporanei più innovativi a livello nazionale, viene notato da Guggenheim ed emergono agli occhi della critica la novità del suo dipingere, la forza generativa del colore, la rottura dei piani spaziali e il ritmo circolare della pennellata. Il percorso inizia proponendo alcune “Fabbriche” significative in bianco e nero per sottolineare il passaggio che questo artista compie per evolvere dentro il linguaggio di una nuova astrazione, legando le contemporanee tendenze internazionali con uno stile unico e una visione personale. Cuore della mostra è uno straordinario nucleo di “Avvenimenti”, soprattutto degli anni cinquanta, che restituisce una visione completa ed esaustiva del periodo più creativo e felice dell’artista. Ma si è voluto dare spazio anche a un altro interessante aspetto del suo linguaggio: lo sperimentalismo degli anni sessanta-settanta a cui Bacci rivolge la sua ricerca negli ultimi anni. Un’importante sezione è poi dedicata a un gruppo inedito di disegni provenienti da importanti collezioni italiane e soprattutto dall’Archivio Edmondo Bacci.
Lavorando a questo progetto ho sentito più che mai che quell’opera non è chiusa nel passato, ma può trovare una nuova importante voce nel presente e che questa mostra sarà l’occasione per riattivare l’“incanto” toccato da questo artista, ancora più necessario oggi.
Chiara Bertola
Testo tratto dal catalogo della mostra Edmondo Bacci. L’energia della luce, Marsilio Arte, Venezia 2023
BIO
Chiara Bertola è curatrice della mostra Edmondo Bacci. L’energia della luce e Responsabile del programma di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia dal 1999.
Dal 2014 è socia fondatrice della Venice Gardens Foundation di Venezia. Ideatrice e curatrice del Premio Furla per giovani artisti italiani dal 2000 al 2015, è stata Direttrice artistica dell’HangarBicocca di Milano dal 2009 al 2012, Presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia dal 1996 al 1998, co-curatrice del Padiglione Venezia della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (2007), e una dei curatori della XV Quadriennale di Roma (2008). Vive e lavora a Venezia.
INFO
Edmondo Bacci. L’energia della luce
fino al 18 settembre 2023
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
Dorsoduro 701, Venezia
https://www.guggenheim-venice.it/it/
Foto cover: Edmondo Bacci, Fabbrica, 1952 c. Tempera grassa e carboncino su tela, 27 x 44 cm, Collezione Barbara Morandi, Venezia
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