Le fotografie di Paolo Pellegrin salvaguardano la memoria ed entrano nel dolore degli altri rispettandone la sacralità. Parola di Bruno Delfino, art director del Corriere della Sera, che commenta la mostra ospitata dalle Stanze della Fotografia di Venezia fino al 7 gennaio 2024
Fotografare è scrivere con la luce. Una luce che illumina “momenti di sofferenza estrema, d’ingiustizia patita che non possono andare perduti per sempre”. Senso di ultimità, Paolo Pellegrin battezza così il gesto di fermare e firmare quei momenti. Da un lato la frustrazione per l’impotenza di fronte all’orrore di una guerra o alla catastrofe climatica, dall’altro la necessità di essere in prima linea, di dare il proprio contributo visivo, etico ed estetico, di mettere in discussione presunte verità, di evitare che la memoria finisca in un buco nero. Quel potere salvifico delle immagini, di cui parla Michele Smargiassi.
Oltre l’orizzonte degli eventi è il titolo mutuato dalla fisica per la mostra, a cura di Denis Curti e Annalisa D’Angelo, allestita a Venezia, fino al 7 gennaio 2024, nelle Stanze della Fotografia. Oltre trecento scatti catturati prima che entrino nel cono d’ombra della zona intorno al Black Hole e vengano risucchiati nel nulla. Mantenendo la giusta distanza. Una “zona sacra”, la definisce Pellegrin, in cui muoversi con grande rispetto e con l’umanità dello sguardo della sua arte fotografica. Una testimonianza senza compromessi, senza filtri, senza anestesia, sgranata, mossa, in bianco e nero, capace di creare un ponte emotivo tra chi scatta, chi entra nell’inquadratura e chi osserva fotografie “non finite”, con l’invito a completarle.
Storie di fragilità e resilienza che vivono in scatti capaci di entrare nel dolore degli altri senza offenderne la sacralità. Un lamento, una denuncia, un grido d’aiuto, il particolare che diventa universale, il documento che si salda con la metafora e crea monumenti visivi, icone.
Undici edizioni del World Press Photo vinte, Paolo Pellegrin, classe 1964, è membro dell’agenzia Magnum dal 2005. “I suoi grigi e i suoi neri” ‒ scrive Denis Curti nel catalogo della mostra ‒ “le sue ombre, le sue diagonali trascendono dai luoghi e dal tempo e le sue figure, così come i suoi paesaggi naturali, diventano testimonianza delle forze dell’esistere in tutte le condizioni possibili, di sopravvivenza e di vita”.
Uno scatto per tutti, Angelina che gioca a casa di sua nonna Sevia, recita la didascalia. La figura è al centro, eterea, di spalle, piegata, mentre entra, o forse esce, da una porta delineata solo dal pieno di nero che scandisce le tonalità di grigio di pareti scrostate e di un soffitto affidato a un tubo di ferro. Eppure gioca. Sono quelle che Gigliola Foschi chiama fotografie del silenzio, capaci, nel rumore di fondo, di creare “un intervallo inquieto che ferma e sospende i nostri sguardi e i nostri pensieri, per aprirli verso un altrove, verso un non dicibile che ci disorienta e ci interpella”. Sono tanti i motivi per rendere imperdibile questa mostra in tempi di bulimico consumo di immagini, inghiottite nel buco nero di memorie virtuali. Il qui e ora, il guardare lento che ci consenta di aprire il fuoco della visione. “Gli occhi sono organi che servono a chiedere” scriveva Paul Valéry, negli scatti di Pellegrin ci sono molti spunti per avere e trovare risposte. E magari accorgersi, per dirla con Curti, che, alla fine del percorso, quell’orizzonte di eventi iniziale lasci intravvedere orizzonti di speranza.
Bruno Delfino
BIO
Bruno Delfino, classe ‘58, napoletano, emigrante. Due passioni: i giornali e il Napoli. Anzi tre, la fotografia. Un passato da cronista, all’ombra del Vesuvio, il presente a quella del Duomo, da Art director del Corriere della Sera.
INFO
Paolo Pellegrin. L’orizzonte degli eventi
dal 30 agosto 2023 al 7 gennaio 2024
LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
https://www.lestanzedellafotografia.it
Foto cover: Un uomo arrestato dalla polizia per aggressione nei confronti del padre. Rochester, Stati Uniti 2012 © Paolo Pellegrin / Magnum Photos
Articoli correlati