Mentre Palazzo Grassi ospita la mostra di Julie Mehretu, Punta della Dogana, l’altra sede lagunare della Pinault Collection, schiude le porte a Pierre Huyghe. “Liminal” è una riflessione profonda sul legame tra umano e non umano e un’occasione per rivedere le proprie certezze, abbandonando le zone di comfort a cui siamo abituati
È una sfida al corpo e all’emotività la mostra che Punta della Dogana intitola a Pierre Huyghe, artista di origine parigina impegnato da anni a scandagliare il rapporto fra umano e non umano. Sono questi i poli concettuali su cui si innesta Liminal, il progetto espositivo ideato da Huyghe insieme alla curatrice Anne Stenne per una delle due sedi veneziane della Pinault Collection. Varcato il corridoio d’ingresso, un buio denso mette in scacco la percezione sensoriale e costringe a rimodulare le logiche del movimento nello spazio. Non supportati dalla consuetudine della vista, ci si addentra in ambienti rischiarati da simulazioni in tempo reale, acquari contenenti forme di vita in evoluzione e film autogenerati sottoposti a continue modifiche nel montaggio in risposta a quanto captato dai sensori presenti nella sala. Opere inedite e lavori recenti intrecciano i fili di una mostra destinata a sviluppare una esistenza autonoma: dialogando con il contesto circostante e con gli stimoli luminosi e atmosferici esterni, gli interventi di Huyghe vanno oltre il suo controllo, assumendo forme impreviste e creando prospettive e linguaggi altri rispetto a quelli umani. L’inumano conquista la scena e sembra innervare le architetture stesse di Punta della Dogana, che si lasciano impregnare dall’assenza di luce e diventano quinte porose per installazioni capaci di conquistare ogni singolo frammento del campo visivo.
Liminal, la gigantesca opera dalla quale deriva il titolo della mostra, fa precipitare lo sguardo nella voragine senza fondo che squarcia il volto dell’entità protagonista, in cui coesistono la gestualità umana e il palesarsi di comportamenti differenti. Umano e inumano scivolano sul medesimo crinale, ‒ senza gerarchie o pretese deterministiche ‒, si compenetrano, sfumano i loro confini ma non affievoliscono l’impatto della loro presenza. La sfida posta da Huyghe riguarda la capacità di abbandonare il comfort del reticolo percettivo abituale, sperimentando il disagio e poi la curiosità suscitati da ciò che valica il limite dell’umano. Fonemi e sintassi sconosciute accrescono la grammatica di Idiom, opera resa possibile dall’intelligenza artificiale, veicolata a sua volta dall’azione performativa: gli individui che indossano apposite maschere con schermo a led dorate e che si aggirano fra le stanze della mostra sono messaggeri di una nuova lingua “sintetica”, sviluppata in tempo reale e derivante dagli elementi colti dai sensori applicati alle maschere. Diffuso attraverso l’apparato vocale umano, l’inedito idioma cresce giorno dopo giorno e apre uno spiraglio su un linguaggio di matrice non umana. Anche in questo caso la sfida consiste nel reagire a una reazione sviluppata in real time da una intelligenza artificiale, allenandosi a un ascolto non governato dai paradigmi umani. Ciò che si differenzia dall’umano e ciò che resta tale non entrano in conflitto nella mostra veneziana – e nella poetica – di Huyghe, ma sono gli strumenti di un discorso imprevedibile, potenzialmente in grado di modificarsi all’infinito. Proprio come accade nel film Camata, dove macchine robot compiono una sorta di misterioso rituale su uno scheletro umano ritrovato nel deserto di Acatama, in Cile. Oppure in UUmwelt – Annlee, dove l’immaginazione umana è ricostruita da una intelligenza inumana, a partire dunque da un processo di coproduzione tra l’umano e l’artificiale.
Dopo essere rimasti in bilico su vari gradienti di buio – al pari dell’entità protagonista di Liminal –, l’ultima sfida per chi visita la mostra è fare tesoro dell’esperienza anche nella realtà a impronta umana nella quale siamo tutti immersi, esercitandosi a interpretarne i meccanismi attraverso la lente del non-umano.
Arianna Testino
BIO
Pierre Huyghe (Parigi, 1962) vive e lavora a Santiago del Cile. La sua opera gode di un vasto riconoscimento a livello internazionale ed è presentata nelle mostre di tutto il mondo.
Tra le sue esposizioni più recenti ricordiamo Chimeras, EMMA, Espoo (2023), Variants, Kistefos Museum, Jevnaker (2022), After UUmwelt, LUMA Foundation, Arles (2021), UUmwelt, Serpentine Gallery, Londra (2018), After ALife Ahead, Skulptur Projekte Münster, Münster (2017), The Roof Garden, The Metropolitan Museum of Art, New York (2015). Nel 2012 ha realizzato Untilled, uno dei contributi alla dOCUMENTA 13 di Kassel più apprezzati dalla critica. Tra il 2012 e il 2014, una grande retrospettiva della sua opera è stata ospitata al Centre Pompidou, Parigi, al Museum Ludwig, Cologna e al Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles. Nel 2019 è stato nominato direttore artistico della seconda edizione dell’Okayama Art Summit, dal titolo If the Snake. Opere dell’artista sono presenti nelle maggiori collezioni del mondo, tra cui: Centre Pompidou, Parigi; Los Angeles County Museum
of Art, Los Angeles; Kunstmuseum Basel, Basilea; The Metropolitan Museum of Art, New York; MoMA, New York; Musée d’Art modern de Paris, Parigi; National Gallery of Canada, Ottawa; Nationalgalerie, Staatliche Museen zu Berlin, Berlino; Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Walker Art Center, Minneapolis; SFMOMA, San Francisco; Tate Modern, Londra.
INFO
Pierre Huyghe. Liminal
fino al 24 novembre 2024
PUNTA DELLA DOGANA
Dorsoduro 2, Venezia
https://www.pinaultcollection.com/palazzograssi/it
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