L’arte della lavorazione vetraria è protagonista del libro scritto dal curatore, artista e critico Jean Blanchaert e pubblicato da Marsilio Editori nella collana Mestieri d’Arte della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Un viaggio alla scoperta di un mestiere, appunto, che affonda le radici nella storia muranese
Si intitola Musica senza suono il volume che Jean Blanchaert ha ideato per celebrare una tradizione secolare: l’artigianato vetrario. Gli abbiamo fatto qualche domanda per ripercorrere il passato e indovinare il futuro di un mestiere complesso e in perenne evoluzione.
Musica senza suono è un omaggio corale ai maestri artigiani muranesi che contribuiscono a mantenere in vita lo storico mestiere vetrario. Quali aspetti accomunano le loro esperienze? E quale scenario emerge dai loro racconti?
Gli eminenti maestri vetrai di oggi, quelli dai cinquant’anni in su, hanno vari aspetti in comune. Il primo lo chiamerei “destino”: si veniva mandati in fornace, giovanissimi, dalla famiglia, senza discussioni (teniamo presente che il grande Lino Tagliapietra, oggi novantenne e ancora pieno di idee, ha lavorato in vetreria fino a tre anni or sono).
Il secondo aspetto lo chiamerei “talento”: la capacità di confrontarsi con il vetro in modo spontaneo, naturale e innato.
Il terzo aspetto lo definirei “passione”: avere talento è un buon punto di partenza, ma non basta. I maestri, prima di essere tali, sono stati garzonetti, garzoni, serventini, serventi e aiuto maestri. Tutti hanno saputo rispondere come soldati semplici ai comandi del generale (del maestro vetraio) e col passare degli anni hanno scalato la graduatoria.
Soltanto la passione potrà compensare le fatiche richieste da un lavoro ad altissima temperatura:
… e dallo stesso
Vulcan costrutti di massiccio bronzo.
Tutto in sudor trovollo affaccendato
De’ mantici al lavoro…
(Omero ‒ Iliade. Traduzione dal greco di Vincenzo Monti (1825). Libro XVIII, p. 168)
Sono parole di duemilasettecento anni fa: descrivono la dea Tethis mentre ammira Vulcano che crea lo scudo di Achille. Sembrano la descrizione odierna di un maestro in azione.
L’arte della lavorazione del vetro è profondamente legata all’identità di Murano e a quella di Venezia in generale, come da lei evidenziato fra le pagine del libro. Come è cambiato questo legame nel corso delle epoche?
Non soltanto il legame tra l’arte della lavorazione del vetro e l’identità veneziana è rimasto immutato, ma anche il modo di operare, uguale a quello di mille anni fa. Perché, se un robot, come succede spesso oggi, può sostituire in parte la mano che scolpisce il marmo, il legno, la pietra, non si può certamente avvicinare ai milleduecento gradi del vetro soffiato.
Murano e vetro costituiscono un connubio che perdura lungo i secoli e che si innesta nell’ancora più antico legame che intercorre tra il vetro e la Laguna. Fu nel 1291 che il Maggior Consiglio stabilì lo spostamento di tutte le botteghe vetrarie a Murano (peraltro in parte già spontaneamente avvenuto), dando il via alla plurisecolare tradizione artigianale dell’isola veneziana. Gli artigiani di Murano si fecero ben presto apprezzare per la qualità dei loro prodotti, quasi sempre vere e proprie opere d’arte, nonché per la particolare attenzione dimostrata nel soddisfare il mutare delle richieste provenienti da clientele sempre più esigenti, grazie anche alle innovazioni tecnologiche del settore. Ancor’oggi, il distretto del vetro artistico di Murano e del vetro veneziano rappresentano una vera e propria eccellenza, un condensato di saperi artigiani.
Nel volume lei scrive: “Molte cose stanno cambiando: molti meno giovani s’avvicinano al mestiere di vetraio a causa della durezza di una simile esperienza, ma quelli che lo fanno sono bravissimi e determinatissimi, la migliore garanzia per il futuro dell’isola”. Quali soluzioni e strategie possono essere adottate, dal suo punto di vista, per regalare nuova linfa a questa tradizione?
Non ci sono scorciatoie per addolcire la durezza di questa carriera. Sarebbe come dire a un campione olimpico: “Allenati soltanto mezza giornata”. Da quando l’arte contemporanea si è accorta che il vetro può essere un medium per esprimersi, artisti da tutto il mondo sono venuti a Murano a cimentarsi con questa materia (Glasstress di Berengo Studio ne è un esempio). Anche se il tempo passa, quindi, la tradizione dei maestri vetrai è lontana dallo scomparire, si evolve; bisogna avere un occhio verso il futuro, tenendo comunque strette le proprie radici nella tradizione dell’arte e delle tecniche del vetro muranese.
Intervista a cura di Arianna Testino
BIO
Jean Blanchaert, curatore, artista e critico, è una delle voci più autorevoli nel settore dell’artigianato artistico europeo. Per più di trentacinque anni, a Milano, ha condotto la Galleria Blanchaert, fondata dalla madre Silvia, dove il vetro del Novecento e quello contemporaneo sono stati assoluti protagonisti. Il profilo internazionale caratterizza da sempre il suo lavoro. Ha curato decine di mostre in luoghi istituzionali, nel campo del vetro, della ceramica, del ferro e del marmo, ma anche dell’arte e della fotografia. Per Homo Faber Event (Fondazione Giorgio Cini, Venezia, dal 2018) ha curato con Stefano Boeri l’esposizione Best of Europe e successivamente Next of Europe. Dal 2018 è membro del Comitato scientifico di The Venice Glass Week, festival internazionale dedicato all’arte del vetro. Nel 2021 è stato curatore della mostra Vitrea. Vetro italiano contemporaneo d’autore, presso Triennale Milano. Dal 2008 è collaboratore del mensile Art e Dossier (Giunti).
Cover photo: Venini, vaso Monofiore Balloton, 1970, tecnica balloton, vetro sabbiato, soffiato; Fulvio Bianconi con Paolo Venini, Clessidra, 1957, vetro soffiato a incalmo; Fulvio Bianconi per Venini, vaso Fazzoletto, 1948, lavorazione a mano volante, vetro opalino, soffiato. Courtesy Venini
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