Genealogie dell’ornamento: la sezione della mostra sull’artigianato dedicata alle griffe della moda e della gioielleria più sofisticate. Qui il lusso diventa bellezza assoluta
“Si considera la guerra un male da evitare, certo, ma si è ben lontani da considerarla un male assoluto: alla prima occasione, foderata di begli ideali, scendere in battaglia ridiventa velocemente un’opzione realizzabile. La si sceglie, a volte, perfino con una certa fierezza. Una reale, profetica e coraggiosa ambizione alla pace io la vedo soltanto nel lavoro paziente e nascosto di milioni di artigiani che ogni giorno lavorano per suscitare un’altra bellezza e il chiarore di luci limpide che non uccidono”.
Alessandro Baricco, dalla postfazione all’Iliade di Omero
Trascendere l’oggetto aggiungendo valore alle cose. Anche, in alcuni casi, indipendentemente dalla funzione, perché l’ornamento ha valore in sé e merita tutta la considerazione derivante dalla fatica, dal tempo, dall’esperienza necessari per realizzarlo senza che debba per forza attraversare le forche caudine del “ma a cosa serve?”. È interessante sottolineare il carattere eminentemente politico dell’artigianato in quanto chi lavora con le mani tende a mettere in discussione le basi fondanti della società produttiva industriale e capitalistica slegandosi dal ruolo di fruitore/consumatore passivo e rielaborando un’idea/prodotto attraverso un processo di decostruzione/ricostruzione per adattarla e renderla fruibile alle esigenze quotidiane proprie e del prossimo. Tre capacità fondamentali stanno alla base della perizia tecnica: la capacità di localizzare i problemi, di porsi domande su di essi e la capacità di “aprirli”. Che significa dare concretezza alle questioni, riflettere sulle loro qualità, ampliarne il senso. Entrando nel padiglione Details: Genealogies of Ornament, curato da Judith Clark nell’ambito di Homo Faber e dedicato alla manualità applicata ad abiti, gioielli, orologi, ricami, profumi, glittica, alta sartoria, pelletteria, e perfino yacht – l’Eilean del 1936, ormeggiato di fronte alla Compagnia della Vela dell’isola di San Giorgio Maggiore, nelle acque della laguna veneziana, è fortissima la sensazione di essere travolti da una vorticante eppure quieta tempesta di bellezza. Vorticante eppure quieta: il savoir-faire è il regno degli ossimori, dove la tecnologia è parente della tradizione, il passato si sposa nella frase dove c’è la parola futuro, il dinamismo si unisce all’idea quasi terapeutica dell’attesa e della pazienza. Infine, l’ossimoro più importante: l’artigianato può essere digitale digitale.
No, non è un refuso. Nell’ammirare i tesori dei grandi nomi del padiglione, ciò che viene incontro è un futuro in cui la macchina sia un prolungamento della mano, in cui non può esistere alcun metaverso senza decine di persone che ne decidano sfondi, personaggi, movimenti, seguendo una svolta epocale che non mira a togliere lavoro alla manodopera di chi “sa fare”, ma anzi vuole incrementarne il valore attraverso tecniche e idee che altrimenti sarebbero irriproducibili: l’artigianato è digitale perché realizza cose tattili, ma senza la mano di un neo-artigiano non sarebbe possibile tradurre l’ispirazione in immaterialità. Perché il saper fare è anche creatività. La creatività dell’artigiano non è una generica qualità da liberare, uscendo da prospettive conformiste, come ci incitano a fare i moderni pedagoghi, ma il frutto di anni di lavoro e di amore per la propria attività. La creatività dell’artigiano è basata sull’esperienza e l’intuizione. L’artigiano esperto possiede infatti quel quid, nella soluzione dei problemi cui si applica, che nessun computer, nessun libretto di istruzioni, nessuna lista di regole e nessun programma standardizzato di insegnamento possono garantire. Così, per esempio, l’orologio Atmos disegnato da Marc Newson il cui quadrante sembra fluttuare nell’aria, è frutto di grandi studi scientifici che Jaeger-LeCoultre ha elaborato nel 1935, ma sarebbe impossibile non produrlo e assemblarlo a mano. I ricami di Daniel Roseberry per gli abiti di Schiaparelli, di cui è direttore artistico, così come i suoi bijoux, sono stati prima piazzati su un disegno in 3D e poi ricamati uno per uno. Così come il sogno di un corpo-calamita che attrae fiori di voile e margherite di tulle e chiffon per modellarli in un soprabito di mercuriale sveltezza sono realizzati uno alla volta da Lemarié per Chanel Haute Couture. La prima casa di ricami e atelier di plumasserie che sono i migliori alleati per trasformare la fiaba in realtà.
Trasmutazione alchemica o pratica della manualità? Entrambi. Un libro cult degli anni Settanta ‒ Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig ‒ lo affronta in maniera affascinante: «La materia e i pensieri dell’artigiano si trasformano insieme, cambiando gradualmente, fino al momento in cui la mente è in quiete e la materia ha trovato la sua forma … Immagino che questa si possa chiamare personalità». Una personalità che si estrinseca, per esempio, nel matrimonio tra artigianato e tecnologia nell’incisione delle pietre di Cartier, maestro nel realizzare gioielli quanto preziosi oggetti come una scatola di opale in cui è incastonato un orologio e un bracciale. Sono esempi di quel “fare come pensare”, che produce nuovi livelli di civilizzazione e di progresso tecnologico. E sarebbe sbagliato pensare che i mestieri artigiani rimangano invariati nel tempo, legati indissolubilmente a una tradizione immutabile. Al contrario: l’artigianato contemporaneo sa fecondare le vecchie pratiche con il sapere scientifico-tecnologico della nostra epoca in una superiore sintesi innovativa, sa usare gli strumenti che la rivoluzione informatica gli mette a disposizione, sa comunicare e situarsi in un panorama economico ormai globale e internazionale. È un traduttore di tradizioni.
Antonio Mancinelli
BIO
Antonio Mancinelli, giornalista professionista, è stato caporedattore di Marie Claire fino a luglio 2021. Collabora con Repubblica, D ‒ La Repubblica delle Donne, Amica, Il Foglio e altre testate online e offline. Ha iniziato con il Corriere della Sera. Insegna giornalismo di moda e semiotica della moda in varie scuole e atenei. Ha pubblicato vari libri: di questi, l’ultimo è L’arte dello styling (Vallardi) scritto in tandem con Susanna Ausoni, tradotto in tutto il mondo. Da sempre attento alla moda come riflesso della società e dispositivo politico atto a spiegare le mutazioni culturali, da anni predica che ognuno dovrebbe vestirsi come vuole e non come deve. Non gli crede nessuno.
Foto cover: Photo Elvis Ho © Hermès, 2022
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