I relatori del convegno internazionale di studi di cui questo volume raccoglie gli atti (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 17-19 ottobre 2018) si sono interrogati sui dialoghi in materia d’arte che Pietro Aretino (Arezzo, 1492 – Venezia 1556) intrattenne nel tempo con i maestri riconosciuti (da Raffaello e Michelangelo a Sebastiano del Piombo e Giulio Romano, da Tiziano e Sansovino a Tintoretto) e che affiancavano gli altri dialoghi in corso con i protagonisti della vita religiosa e politica (i papi, i re, l’imperatore), con cardinali e ministri e grandi diplomatici (Benedetto Accolti, Granvelle, Hurtado de Mendoza, Cobos), con letterati di grido (a cominciare da Bembo), con i segretari e i personaggi di alto e basso rango che popolavano le principali corti d’Italia e d’Europa. Alimentando una vera e propria diplomazia degli invii condotta con successo dagli anni venti ai cinquanta del Cinquecento. Una pratica nella quale Aretino primeggiò e cheil convegno ha problematizzato, recuperato nella sua estensione e illustrato nelle sue articolazioni.
Tutto questo nella consapevolezza che penetrare la parola critica dello scrittore e ricostruire i suoi rapporti con artisti e committenti vuol dire sì fare luce su un versante della carriera di Aretino o enfatizzarne quel ruolo di promotore che gli era riconosciuto già da Vasari come un dato di fatto, ma insieme vuol dire anche approfondire le ragioni di un dialogo profondo con gli stessi artisti e sugli artisti che ebbe come risultato la sperimentazione di un lessico e di un’estetica se non nuovi di certo più aderenti al sentire di pittori e scultori.
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