Questo dialogo tra l’architetto-urbanista Alfonso Femia e Paul Ardenne, esperto di questioni culturali, è il risultato di una duplice valutazione nata dalla crisi provocata dalla Covid-19: l’inadeguatezza della nostra società alle condizioni di vita create dalla pandemia e l’inadeguatezza, ancora, dell’attuale offerta in materia di architettura e urbanistica. Habitat e scuole inadeguati, città in cui servizi e prerogative sono distribuiti in maniera incoerente, un territorio non sufficientemente pianificato e popolazioni trascurate… La pandemia della Covid-19 ha rivelato una città contemporanea disfunzionale, incapace di reagire o di proporre azioni efficaci e concrete, di saper prevedere e anticipare le nostre debolezze forse a causa di un’idea cieca e arrogante, quella di non considerarci fragili o vulnerabili. È urgente ripensare le nostre infrastrutture e chiedersi cosa ci aspettiamo dall’habitat, dai servizi, dall’ambiente, dalle nostre città per il futuro. Quello che verrà non dovrà essere la replica del presente, ma un mondo nuovo, finalmente coerente con le aspettative degli abitanti di una “città buona”.
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