Lotte sociali, movimenti rivoluzionari, contemporaneità. Sono solo alcune delle tematiche che ispirano la sfaccettata arte di Julie Mehretu (Addis Abeba, Etiopia, 1970), protagonista dell’omonimo catalogo edito da Marsilio Arte con testi firmati da Caroline Bourgeois, Patricia Falguières, Hilton Als, Jason Moran, Lawrence Chua, Paul Pfeiffer e la stessa Mehretu.
Il volume è pubblicato in occasione della grande mostra Julie Mehretu. Ensemble, visitabile a Palazzo Grassi dal 17 marzo 2024 al 6 gennaio 2025, a cura di Caroline Bourgeois in collaborazione con l’artista.
Definita dal direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana Bruno Racine «la più importante esposizione di opere dell’artista in un museo europeo», la mostra riunisce la produzione di venticinque anni dell’arte di Julie Mehretu. Sono più di sessanta le opere esposte tra pittura, disegno e incisione, inclusi molti dipinti recenti provenienti dalla Collezione Pinault e da musei internazionali.
I suoi lavori vengono presentati insieme a quelli di suoi cari amici artisti e scrittori come Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Robin Coste Lewis, Tacita Dean, David Hammons, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin. «La maggior parte di noi in questo ensemble appartiene alla generazione cresciuta durante il primo momento postcoloniale» spiega la stessa Mehretu «abbiamo affrontato le molte violenze che ne sono derivate». Portando il campo della pittura in dialogo con poesia, scultura, film, voce e musica, la mostra disegna in uno spazio corale e vivace un ritratto collettivo di una comunità in costante dialogo. L’arte di Mehretu è sempre stata contraddistinta dall’incontro e dal dialogo con l’altro. Questo tratto, nelle parole della curatrice Caroline Bourgeois, è «la manifestazione della profonda attenzione di Mehretu nei confronti di quelle relazioni intessute, del loro carattere determinante e del loro potere creativo». La sua creatività si è sempre nutrita di fotografia, storia, geografia e tematiche sociopolitiche. Tutte queste influenze vengono tradotte visivamente dall’artista in un linguaggio astratto che conferisce alle opere sperimentalismo ed emancipazione.
Ad apertura del catalogo la curatrice Caroline Bourgeois e Julie Mehretu dialogano a tu per tu, facendo emergere gradualmente le idee e gli obiettivi che costituiscono il fil rouge della produzione dell’artista e della mostra stessa. Patricia Falguières, professoressa della Scuola di Studi Avanzati in Scienze Sociali di Parigi, nel suo contributo intitolato Tra lusco e brusco accompagna il lettore attraverso i cambiamenti che hanno caratterizzato l’arte di Mehretu, dagli anni Novanta fino a oggi. A testimonianza di questa trasformazione vengono citate opere come Apropos (1998), Rise of the new Suprematists (2001) e Desire was our breastplate (2022-2023). In L’esploratrice, lo scrittore e critico teatrale Hilton Als riflette sullo spazio, sull’identità e sul divenire, intrecciando i suoi pensieri ad alcune opere fondamentali di Julie Mehretu come Back to Gondwanaland (2000). Jason Moran, pianista e compositore, ci porta alla scoperta di Mogamma (A Painting in Four Parts), una serie di dipinti dell’artista che l’autore definisce «una partitura musicale». Julie Mehretu presenta invece uno a uno gli amici con i quali condivide lo spazio espositivo. In questo modo, il lettore partecipa ai legami affettivi, intellettuali e artistici che Mehretu condivide con ognuno di loro. Il catalogo si conclude con Un questionario sulla diaspora e la contemporaneità, una lunga conversazione in cui Julie Mehretu, l’artista Paul Pfeiffer e lo scrittore e storico dell’architettura Lawrence Chua riflettono sul concetto di modernità attraverso l’esperienza della diaspora. Il dialogo è lo spunto per riflettere sul loro vissuto di migranti e su come questo abbia portato a Denniston Hill, un esperimento di comunità residenziale fondata nel 2004 a New York da Mehretu, Pfeiffer e Chua insieme ad altri artisti e architetti. Questo spazio simboleggia l’arte di Mehretu, come lei stessa spiega: «abbiamo tutti modi molto diversi di approcciarci alla pratica, eppure c’è questo luogo in cui ci ispiriamo costantemente a vicenda e analizziamo ciò a cui cerchiamo di dare un senso: dove siamo tutti e chi siamo?».