Palazzo Te è la destinazione ideale per chi vuole scoprire la storia dell’artista di Anversa che a Mantova costruì le basi del proprio successo. La mostra e le opere da non perdere sono descritte dalla curatrice Raffaella Morselli
Pittura, trasformazione e libertà. Le tre parole racchiuse nel titolo della mostra che Palazzo Te a Mantova dedica a Pieter Paul Rubens ne sintetizzano gli intenti e i contenuti. Abbiamo intervistato la curatrice Raffaella Morselli per capire qualcosa in più dell’artista ingaggiato dai Gonzaga.
Il legame di Rubens con l’Italia, e con Mantova in particolare, è il fil rouge della mostra a Palazzo Te. Quali sono i “capitoli” principali di questa ricchissima storia?
Il 9 maggio 1600 Pietro Paolo partì per l’Italia. Nell’estate dello stesso anno, il giovane pittore venne ingaggiato da Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova, che rimarrà suo mecenate per gli otto anni di soggiorno italiano. Il 5 settembre 1600, fu testimone di un importante evento storico: in qualità di pittore di corte, assistette a Firenze al matrimonio per procura tra la cugina e cognata del duca Vincenzo, Maria de’ Medici, ed Enrico IV di Francia. Con in mano una lettera di raccomandazione da parte del duca di Mantova indirizzata al cardinal Montalto, partì per Roma nel giugno del 1601 per studiarne le antichità. Lasciata Roma il 20 aprile del 1602, il 5 marzo dell’anno successivo Rubens ricevette il primo incarico diplomatico della propria carriera: Vincenzo Gonzaga gli affidò regali da portare alla corte spagnola e alcuni dipinti da donare al duca di Lerma, potentissimo favorito del Re. All’inizio del 1604 Rubens tornò a Mantova passando per Genova. Nella corte dei Gonzaga rimase fino a novembre dell’anno successivo, eseguendo le tele per la cappella maggiore della chiesa dei Gesuiti, tra cui la celebre pala d’altare che raffigura la famiglia dei duchi in adorazione della Trinità. Alla fine del 1605, Rubens si trasferì di nuovo a Roma dove, il 25 settembre del 1606, firmò la importante committenza con i Padri Oratoriani di S. Filippo Neri: la decorazione dell’altare maggiore di Santa Maria della Vallicella. Il lungo soggiorno italiano di Rubens si concluse frettolosamente: il 28 ottobre del 1608, lasciò Roma per raggiungere la madre morente. Tutti i viaggi, tutte le città e tutte le esperienze che il pittore fiammingo fece in Italia furono possibili grazie al generoso mecenatismo del duca di Mantova.
La poetica e la pittura di Giulio Romano furono dei modelli preziosi per Rubens. Ci spiega come e perché?
Arrivato a Mantova, il maestro fiammingo si trovò a dover fronteggiare l’abilità di Giulio Romano, il pittore manierista che, più di ogni altro predecessore, dimostrò una inclinazione artistica molto simile a quella dell’anversese. Come Giulio Romano aveva trovato un’equilibrata sintesi tra il vigoroso segno di Michelangelo e la grazia di Raffaello, allo stesso modo Rubens trasse un impeto creativo nelle diverse espressioni del Rinascimento italiano e della statuaria classica. Le opere selezionate per questa mostra sono state scelte in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e l’interpretazione che ne fece Giulio Romano nelle varie stanze, inducendo nel pittore anversese una sintonia mai interrotta con il Rinascimento e la favola mitologica.
Rubens fu uno dei primi artisti a mettere a punto un linguaggio pittorico pienamente europeo. Quali sono le peculiarità della sua arte?
Rubens seppe coniugare le molte tendenze artistiche che lo precedettero, dal naturalismo di Caravaggio al classicismo dei Carracci, recuperando, al contempo, anche il gigantismo dei pittori manieristi. Si rese conto, però, che la lezione dell’arte classica si stava depauperando a mero formalismo, per cui interpretò la statuaria antica alla luce di nuovi significati iconografici a lui contemporanei. Questa sapiente elaborazione di più suggestioni culturali in un linguaggio magniloquente è alla base della prima esperienza artistica transnazionale, propriamente europea.
La mostra riunisce oltre cinquanta opere. Se dovesse sceglierne tre per sintetizzare lo stile di Rubens, quali sarebbero e perché?
Sicuramente il Cristo sulla croce del 1610 del Koninklijk Museum di Anversa perché ben definisce il concetto neostoico di accettazione degli eventi da parte del saggio; il Romolo e Remo allattati dalla lupa del 1612 dalla Pinacoteca Capitolina per il senso della storia romana come virtù civile e dell’equilibrio tra uomo e natura; il pendant dalla Galleria Sabauda con Dejanira ed Ercole per il rimando alla cultura classica interpretata secondo il gigantismo di Giulio Romano, esempio tardo della maturità pittorica e di pensiero del maestro d’Anversa.
Mito, natura, potere: come affronta Rubens questi temi universali?
Per Rubens, il mito rappresentava un espediente per l’elaborazione visiva dell’etica cattolica e civile, la natura era espressione di potere divino affidato all’uomo e il potere era la capacità di dominare le inclinazioni umane. Il soggiorno in Italia e la cerchia di intellettuali e studiosi che frequentò in quegli anni, ambienti che furono accessibili anche grazie al suo potentissimo patrono Vincenzo Gonzaga, permisero a Rubens di elaborare il suo personale pensiero filosofico e politico: il concetto di “fermezza”, ossia l’imperturbabilità di fronte agli eventi della storia, portò Rubens a sviluppare quel senso di universalità che espresse tanto in pittura quanto negli incarichi diplomatici che, proprio a partire dagli anni mantovani, gli vennero affidati durante l’intera vita. In ogni aspetto della propria carriera, Rubens pose al centro del proprio agire l’auspicio di un’Europa pacificata.
BIO
Raffaella Morselli è professoressa ordinaria di Storia dell’arte moderna presso la Sapienza Università di Roma. Si occupa di storia del collezionismo, di committenza e di mercato dell’arte nell’Italia del XVI-XVII secolo, ed è specialista di Guido Reni, Guercino e Rubens. È stata curatrice di diverse mostre, in particolare sulla Collezione Gonzaga (Mantova 2002-2003), su quella del cardinale Silvio Valenti Gonzaga (Mantova 2005), su Guido Reni (Roma 2022, Galleria Borghese) e sui capolavori salvati durante la Seconda guerra mondiale (Arte Liberata 1937-1947, Roma 2022-2023, Scuderie del Quirinale). È stata Research fellow del Getty Center (Los Angeles1994) e Ailsa Mellon Bruce Senior Visiting scholar al Casva (Washington D.C. 2014). Per Marsilio ha pubblicato Professione pittore. Il caso Bologna tra Cinque e Seicento (Venezia, 2022).
INFO
Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà
fino al 7 gennaio 2024
PALAZZO TE
Viale Te 13, Mantova
https://www.centropalazzote.it/
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