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Tessuti, moda, emancipazione: quando il design è una storia da raccontare

di Antonio Mancinelli

È un coinvolgente viaggio nel Made in Italy del tessuto quello proposto dal volume di Vittorio Linfante e Massimo Zanella. Un viaggio dal 1900 a oggi nel quale si incontrano grandi stilisti, pattern rivoluzionari e donne che hanno trovato nella moda un mezzo per affermare la propria identità. A parlarne è un giornalista che di moda se ne intende

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I tessuti stampati sono un modo per raccontare una storia su chi sei e cosa rappresenti”.
Valerie Steele

Nel corso della storia, la moda emerge come una delle forze motrici più potenti che determinano le ramificazioni politiche, economiche, culturali della circolazione e della simbolizzazione delle merci. Il vestire, soprattutto in relazione all’abbigliamento e al mondo del tessile, modella la relazione tra il sé e la società costruendo un lessico destinato a decrittare le variazioni che attraversano il tempo, registrandone i desideri. Come un effetto alla Inception, il film di Christopher Nolan, o all’espressione letteraria mise en abîme (che indica una “storia nella storia”), nel caso dei tessuti stampati si sovrappongono due linguaggi: quello dell’abbigliamento in senso tridimensionale, relativo a forme, volumi, proporzioni, lunghezze, e quello a due dimensioni del disegno, altrettanto utile per comunicare emozioni, status sociale e censo. L’uso di tessuti stampati nella moda femminile non riguarda solo il fascino estetico, ma anche l’espressione psicologica. I colori, i motivi e i disegni dei tessuti stampati possono comunicare un’ampia gamma di emozioni, atteggiamenti e personalità. Per esempio, una donna che indossa una stampa vivace ed esuberante può essere percepita come sicura ed estroversa, mentre una donna che indossa una stampa tenue può essere vista come più riservata e introspettiva.
Secondo la storica di cultura materiale e di moda Beverly Lemire, nel saggio Dressing Global Bodies ‒ The Political Power of Dress in World History, curato con Giorgio Riello, “i tessuti erano parte integrante dell’idioma dell’abbigliamento, segnalando l’identità sociale, trasmettendo messaggi personali e politici e riflettendo credenze e valori culturali”. E ciò era particolarmente vero per le donne, spesso limitate nella loro capacità di esprimersi verbalmente. (Apro una parentesi: la parola tessuto deriva dal latino texere, che significa “tessere”, e la parola testo deriva dal participio passato di texere. Entrambe hanno a che fare con il concetto di “intreccio”, anche se, per alcuni, la parola testo discende da textus, “testimone”. Chiudo la parentesi).
Il volume Il design del tessuto italiano, a cura di Vittorio Linfante e Massimo Zanella, edito da Marsilio Arte, diventa una bussola – o meglio, una cartacea stele di Rosetta – per comprendere e focalizzare le relazioni, talora pericolose, talora avventurose, tra industria, antropologia, storia della moda e del costume, analizzando con puntiglio notarile le superfici dei tessuti stampati in Italia dal 1900 a oggi per ricavarne una lettura trasversale e nuova della cultura dell’abbigliamento. E lo fanno non stabilendo gerarchie valoriali, ma più con il metro dello storico e del ricostruttore di universi immaginativi che corrispondono a diverse fasi delle vicende del nostro Paese.
Fin dall’antichità i tessuti stampati sono stati utilizzati per trasmettere vari messaggi, da quelli sociali a espressioni di identità più personali. Dagli intricati arazzi del Medioevo alle stampe audaci dei designer moderni, gli stampati continuano a fungere da potente strumento di autoespressione nella moda femminile. L’uso di stoffe imprimé per manifestare prese di posizione, per esempio, è stato particolarmente diffuso durante la Rivoluzione francese, quando le donne indossavano abiti istoriati da slogan e simboli rivoluzionari.
Mentre nel XVIII e XIX secolo, ad esempio, le donne indossavano spesso tessuti con motivi botanici, esprimendo un amore per il contatto con la Natura e l’aria aperta che, nei fatti, veniva loro negato. Solo con il movimento dell’Art Nouveau, le donne indossano spesso abiti dagli intricati motivi floreali, che trasmettono femminilità e mistero. Nel XX secolo, i tessuti stampati continuano a (t)essere una forma popolare di espressione. Gli anni Venti vedono l’ascesa dei motivi Art Déco, caratterizzati da forme geometriche audaci e colori vivaci che proclamano modernità, raffinatezza, dinamismo: doti relative a un modello di donna che ben presto, purtroppo, anche nelle fogge del vestire, sarà costretta a tornare sui suoi passi da un sistema maschilista e patriarcale. Il tessuto stampato conosce una vera esplosione in parallelo all’affermarsi delle industrie di abbigliamento, che producono abiti pronti e quindi di maggior diffusione e minor costo rispetto a quelli realizzati negli atelier d’alta moda.
Nella psicologia legata all’abbigliamento, questo boom brilla in tre distinte direzioni. La prima: nell’Italia sperimentale e intellettuale degli anni Cinquanta, dove si rafforzano artisti e designer d’avanguardia, si stabiliscono nuove alleanze con le sartorie più raffinate. Ecco Gio Ponti con Piero Fornasetti e con Fede Cheti, Getulio Alviani con Germana Marucelli, Atanasio Soldati con Tullio Farabola. Insieme si cimentano su una superficie morbida e destinata a un utilizzo considerato “frivolo”, per disegnare un esempio che s’ispiri alla Gesamtkunstwerk, ovvero l’“opera d’arte totale” che combini più discipline come moda, musica, letteratura, teatro e arti visive da applicare nella quotidianità.
Seconda direzione: gli anni Sessanta e Settanta sono marcati e marchiati dall’ascesa di pattern psichedelici, spesso caratterizzati da colori brillanti e motivi ipnotici. Queste stampe lisergiche sono indossate dai giovani come metafora della loro ribellione ai valori reazionari della generazione dei loro genitori.
Terza direzione: si affermano negli anni Settanta e Ottanta stilisti-illustratori come Emilio Pucci, Ken Scott, Pino Lancetti, Gimmo Etro, Livio De Simone, Lisa Corti. Partono dai loro tessuti disegnati che diventeranno trademark riconoscibilissimi.
Di quegli anni, è bello ricordare come in un abito si condensi la storia di una vita: “C’era una volta una ragazza bionda, molto bella. Un giorno mentre passeggia a New York vede, nella vetrina di un negozio, un vestito fantasia nei toni del verde. Le sembra bello. Entra, lo prova. Però il reggipetto a punta che indossa e la guêpière con le stecche la segnano troppo. Decide di toglierli. Esce con quell’abito in jersey di seta che non si appiccica al corpo, ma le accarezza le forme. Un signore che passava di lì la nota. Se ne invaghisce. La segue. La ferma. Colpo di fulmine. I due si innamorano. L’abito era una mia creazione. Poi l’attrice muore e chiede di venir sepolta con quel vestito”. Era Emilio Pucci a raccontare questo aneddoto. “La storia di Marilyn”, confidava Pucci, “dimostra che una donna sceglie un capo senza curarsi della firma, unicamente perché la fa sentire bella e comoda. La praticità di potersi muovere agevolmente non è cosa da poco. E infine, la magia dei colori abbinati ad hoc”.
L’uso di tessuti stampati nella moda femminile ha un impatto significativo sull’espressione di sé e sull’empowerment. La capacità di scegliere ciò che si indossa, compresi i colori, i modelli e i disegni, è una forma di autoespressione e autonomia. Permette alle persone di comunicare la propria individualità e affermare la propria identità in una società che spesso impone come si dovrebbe apparire e comportarsi. Quello di Linfante e Zanella non è un volume utile o necessario. È urgente.

Antonio Mancinelli

BIO
Antonio Mancinelli, giornalista professionista, è stato caporedattore di Marie Claire fino a luglio 2021. Collabora con RepubblicaD ‒ La Repubblica delle DonneAmicaIl Foglio e altre testate online e offline. Ha iniziato con il Corriere della Sera. Insegna giornalismo di moda e semiotica della moda in varie scuole e atenei. Ha pubblicato vari libri: di questi, l’ultimo è L’arte dello styling (Vallardi) scritto in tandem con Susanna Ausoni, tradotto in tutto il mondo. Da sempre attento alla moda come riflesso della società e dispositivo politico atto a spiegare le mutazioni culturali, da anni predica che ognuno dovrebbe vestirsi come vuole e non come deve. Non gli crede nessuno.

Foto cover: Vivetta, Ballerine | Primavera/Estate, 2017, File di stampa. Courtesy Vivetta

Vittorio Linfante, Massimo Zanella

Il design del tessuto italiano
Dal Déco al contemporaneo
Il tessuto stampato

Edizioni in italiano e in inglese
pp. 240, euro 48,00

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