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da MArte

Una favolosa collezione di tappeti incontra l’arte contemporanea

di Redazione

Gli straordinari tappeti antichi della Fondazione Tassara vanno in mostra negli spazi rinnovati del Grande Miglio del Castello di Brescia. A rendere il tutto ancora più speciale è il dialogo con una serie di opere di arte contemporanea. Ci siamo fatti raccontare i dettagli dai curatori: l'artista LETIA Letizia Cariello e Giovanni Valagussa

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Avvicinare manufatti antichi e opere contemporanee non è mai un’operazione semplice. A riuscire nell’impresa sono stati i curatori della mostra I nodi dei giardini del Paradiso, allestita negli ambienti del Grande Miglio del Castello di Brescia, restaurati e riaperti al pubblico dopo circa quindici anni in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023.
I protagonisti dell’iniziativa sono trentacinque tappeti dell’area del Turkestan, donati da Romain Zaleski alla Fondazione Tassara, posti in dialogo con opere a impronta tessile di artisti del calibro di Alighiero Boetti, Ibrahim Mahama, Herta Ottolenghi Wedekind, Sheila Hicks e Raùl De Nieves. La curatela è stata affidata a Giovanni Valagussa e a LETIA Letizia Cariello, autrice delle due inedite installazioni che arricchiscono la mostra.

Arte contemporanea e manufatti antichi e preziosi entrano in dialogo nella mostra che avete curato. Quali sono i “nodi” del progetto espositivo?
LETIA Letizia Cariello: Bella domanda: i nodi! Dal mio punto di vista, ovvero quello della creazione delle installazioni a partire dai trentacinque tappeti antichi selezionati da Giovanni Valagussa in aggiunta alle opere contemporanee che abbiamo selezionate insieme, la risposta è multipla.
Dal punto di vista concettuale, sono nodi che evocano snodi: ovvero si snoda un percorso; si snoda la trasformazione di uno spazio molto importante e identificato (quello del Grande Miglio, parte integrante delle opere, non mero contenitore); si snoda un discorso che è quello che, invece, riallaccia (altro termine non indifferente) una visione interiore a un fatto materico più immediato. La visione interiore delle opere di partenza: tappeti e opere contemporanee, che si trasformano restando se stesse in un risultato finale che in maniera molto evidente offre un’opera nuova. Faccio un esempio. L’arazzo di Boetti integrato nella struttura-volume che proviene dalla serie dei Volumi (una serie molto precisa nella mia ricerca) risulta in un insieme che non tocca la presenza fisica iniziale dell’opera di partenza, ma la integra in una opera nuova. Quella costituita dalla scultura in cui risulta incassata e integrata e dall’opera iniziale stessa. Dunque, il concetto è quello della trasformazione. Segue le leggi dell’armonia sia musicale sia geometrica sia spirituale, ovvero il dinamismo energetico che è, infine, sinonimo di vita.
Dal punto di vista letterale, invece, i nodi sono ovunque nelle installazioni: sia in Beauceant che in Aracne. Li ho fatti uno per uno personalmente! Le corde rosse sono linee disegnate nello spazio. Linee che percorrono tracciati energetici. Infine, il percorso del visitatore, guidato dal suo stesso senso dell’orientamento all’interno dell’installazione, si snoda letteralmente addentrandosi negli spazi fra le campate del Grande Miglio fino a raggiungere, in fondo, la videoinstallazione di Wladimir Zaleski.

Giovanni Valagussa: La mostra nasce dalla straordinaria collezione di tappeti antichi di Romain Zaleski, che spazia su tutti i territori dai quali provengono questi preziosi manufatti, dal Mediterraneo alla Cina. In questo caso abbiamo fatto la scelta di un’area geografica specifica, quella del Turkestan, cioè l’immensa zona dell’Asia centrale compresa tra il Mar Caspio e la parte occidentale della Cina attuale. Il territorio nel quale si snodavano i diversi percorsi carovanieri che costituivano la mitica “via della seta”.
Dunque il primo “nodo” è storico: mira a portare l’interesse verso un territorio a noi – in Occidente – perlopiù sconosciuto ma che è stato cruciale nei rapporti culturali e commerciali per lunghissimo tempo, almeno un millennio: dal VI secolo, con l’Impero d’Oriente guidato da Giustiniano, al XVI secolo, quando le grandi esplorazioni marittime hanno spostato altrove le vie principali di comunicazione.
Il secondo “nodo” è civile: nell’invito a guardare a quei paesi che oggi sono spesso considerati un problema politico per la loro instabilità e – specialmente l’Afghanistan – per le recenti devastazioni. L’antica civiltà che i tappeti esprimono dovrebbe ricordarci che si tratta di aree e popolazioni che meriterebbero una vita migliore, a partire dai diritti assurdamente oggi negati alle donne e fino a una possibilità di reale progresso nel lavoro e nella cultura.
Un terzo “nodo” è propositivo: sta nel confronto con opere d’arte contemporanee – del Novecento e fino a oggi – che in vario modo recuperano proprio il mezzo “tessile” come materia di espressione. Particolarmente significativo è in questo senso l’arazzo ricamato di Alighiero Boetti che portava l’attenzione proprio sull’Afghanistan quando questo paese ha cominciato a essere un problema in età moderna, negli anni Ottanta del Novecento. Ma tutte le opere moderne ci portano in un mondo vario e colorato, dove il fare arte è cosmopolita, fantasioso e raffinatissimo, ma sempre in diverso modo ancorato a materiali d’uso e a una destinazione che comporta una dimensione quotidiana.

Ci raccontate qualcosa in più dei 35 tappeti in mostra (le loro origini, le loro caratteristiche, il loro allestimento in questa occasione e i motivi che vi hanno spinti a selezionarli)?
LETIA Letizia Cariello: La selezione dei tappeti è opera di Giovanni Valagussa, dunque lascio a lui la risposta su questo aspetto. La parte su cui ho agito io è stata, ancora una volta, la trasformazione: sono diventati delle vele, cosa che percepisce immediatamente chi entra nello spazio. I trentacinque tappeti sono appesi in tre posizioni: come carte geografiche al muro ‒montati grazie al lavoro straordinario di Irene Caputo ‒, su telai predisposti infine a rendermi possibile anche la posizione ambata. Dunque sono visibili in tre modalità (vela / carta geografica/ ambatura), che escludono proprio quella in cui normalmente li vediamo, ovvero per terra.
Questi tappeti volano e lo spazio del Grande Miglio è trasformato in un enorme arsenale che fa sentire le persone come a bordo di un veliero che sta per partire. Li ho installati in modo che sia possibile vederli dal retro. Tutto ciò che in questa installazione è espressivo è anche funzionale. Le corde rosse, che vediamo attraversare in alto gli spazi per avvolgersi sulle travi e sui pilastri, sono anche quelle che realmente sostengono il peso di questi preziosissimi manufatti. L’orchestrazione è studiata al centimetro in un gioco di equilibri, punti di vista e visioni calcolate, che sono anche lì per suggerire la forza e l’energia del movimento.
I tappeti nella mia visione sono architettura, sono “spazi morbidi, come li ho definiti. Perché sono piante di casa; recinti del Sacro e tutte le altre cose che sappiamo. Architettura della mente, oltre a fatti materici nel senso tradizionale. Così, secondo il concetto di spazio morbido, sono state scelte le opere contemporanee che si trovano nella navata centrale.

Giovanni Valagussa: I tappeti in mostra vengono da varie zone di quest’area sterminata. Possiamo individuare a grandi linee due aree: il Turkestan orientale e quello occidentale. Nella zona orientale si trovano in particolare tre città che sono, da ovest verso est, Kashqar, Yarkand e Khotan. Si tratta sostanzialmente di tre oasi che si trovano su tre omonimi fiumi, ai margini dell’immenso deserto del Taklamakan: quest’area confina verso ovest col Pamir e verso sud col Tibet ed è un territorio oggi parte della provincia cinese dello Xinjiang. Queste città danno il nome a tre tipologie di tappeti che sono di grande formato, molto eleganti e preziosi, a volte con annodatura in seta e che per i moduli decorativi hanno qualche legame sia con la Persia sia con la Cina.
L’altra area è quella del Turkestan occidentale, più indefinita come insediamenti e percorsa da tribù nomadi che a loro volta hanno dato il nome a tipologie di tappeti come Tekke o Yomuth. Si tratta di tappeti molto più piccoli dei precedenti, destinati a un uso per continui spostamenti e dunque in forma di sacca, borsa, oppure di coprisella e infine di porta per le tende (gli Engsi). Più semplici nella decorazione fitta e geometrica, sono costituiti da colori semplici: rosso, nero, bianco. La città più nota di questa zona è probabilmente Bukhara, che precede Samarcanda e Tashkent nel percorso verso est e che ha dato il nome ai tappeti di quest’area nel mondo del commercio occidentale.
L’allestimento poteva dunque essere di tipo più “didattico”, seguendo appunto questa scansione geografica. Ma abbiamo deciso per una disposizione basata invece sulla suggestione, che possa proporre al visitatore l’impressione del viaggio, del vento, degli spazi sterminati, del percorso tortuoso tra gli ostacoli.

 

I nodi del giardino del Paradiso, veduta dell’installazione presso lo spazio del Grande Miglio, Brescia 2023. Foto © Luca Zanon. LETIA Letizia Cariello, Beauceant, Aracne e Volumi, installazioni site-specific con corde rosse ed elementi in legno dipinto di rosso; Alighiero Boetti, Mappa, 1984, ricamo su tessuto, Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia – Napoli © Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo / foto Marco Beck Peccoz, Milano

In cosa consistono le installazioni site specific realizzate da LETIA Letizia Cariello?
LETIA Letizia Cariello: L’installazione è la mostra: si tratta infatti di un Gesamtkunstwerk. Letteralmente, in quanto i tappeti sono diventati parte di una nuova opera finale. Il titolo, Beauceant, si riferisce al nome del vessillo con cui partivano i Cavalieri Templari: una bandiera metà bianca e metà nera con una croce rossa al centro. Bianco e nero dovevano ricordare la forza e la purezza che, in un sapiente gioco di equilibrio tra anima corpo, devono sorreggere il viaggio del Cavaliere Templare. Ancora: forza a purezza, che servono infine a condurre all’armonia, sia dal punto di vista geometrico che musicale, sono i criteri del lavoro. Armonia che si esplica in un continuo processo di trasformazione, naturalmente per salire di livello. I visitatori completano l’opera e la animano con il loro camminare all’interno dell’installazione.
Aracne è la seconda installazione: una gomena di più di venticinque metri tessuta in un solo pezzo di sei centimetri di diametro che passa per anelli di acciaio lucido disposti sui pilastri.
Tutto a partire dai miei disegni. La terza opera sono i Volumi di cui ho già detto. Sculture concettuali di legno dipinto di rosso che integrano le opere contemporanee. Non c’è niente da imparare, nonostante il valore storico dei tappeti. Viene offerta un’esperienza.

Giovanni Valagussa: Tutta la mostra si configura alla fine come un’unica opera che comprende i tappeti stessi e la installazione che ne costituisce il percorso di lettura. I fili di sospensione, il grande cordone rosso che traccia un segno di itinerario nello spazio, gli elementi solidi trapezoidali che ospitano le opere contemporanee, la gabbia che fa da fulcro della sala sono tutte parti di un progetto che, come un ritmo musicale, guida chi entra in mostra alla scoperta di questi oggetti meravigliosi. Vorremmo che la lettura pur affascinante dei singoli pezzi antichi fosse superata dal senso complessivo della magia di forme e colori.

Come avete interagito con gli spazi del Grande Miglio del Castello di Brescia, restaurati e riaperti al pubblico?
LETIA Letizia Cariello: Nel mio caso, la grande aula con la sua sacralità laica, che mi ha subito fatto pensare a un edificio religioso imponente (come quelli dei Templari), è uno degli elementi essenziali delle opere. Le corde si attorcigliano sui pilastri su cui sono fissate le bitte a cui si agganciano proprio per sottolineare che non siamo di fronte a un contenitore all’interno del quale sono esposte delle opere, ma il contenitore è a sua volta l’opera. Site specific, non per niente.

Giovanni Valagussa: Il recupero dei vari spazi del Castello di Brescia è uno dei grandi risultati di questo anno delle Capitali della cultura 2023. La grande sala dove ora si visita la mostra era completamente abbandonata solo un anno fa e il suo recupero ha qualcosa di eccezionale. Si tratta di un ambiente magnifico, con tre navate divise da pilastri che evocano lo schema di una basilica e che alla fine dei lavori ci sono apparse nella loro dimensione prospettica ampia e ariosa.
L’ingresso che abbiamo scelto lungo la rampa principale di salita al Mastio fa della sala una tappa quasi irrinunciabile. Speriamo che uno spazio così “pulito” e scabro sia usato d’ora in avanti per esposizioni simili a questa: dunque per iniziative innovative e di confronto tra manufatti inusuali che aprono al contemporaneo.

BIO
LETIA Letizia Cariello nasce in una famiglia di origine napoletana dedita da più di 250 anni alla scultura. Dopo la laurea in Storia dell’Arte all’Università Statale di Milano, si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove oggi è Professore Ordinario di Anatomia Artistica nella Scuola di Scultura. Le opere dell’artista – disegni, installazioni, video, sculture – sono attualmente esposte diverse collezioni pubbliche e private, tra cui: il National Museum of the Woman in the Arts di Washington, il Mint Museum di Charlotte, il Museion – museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. LETIA Letizia Cariello è rappresentata in Italia dalla Galleria Massimo Minini di Brescia.

Giovanni F. M. Valagussa, storico dell’arte, dopo aver studiato alla Fondazione Roberto Longhi di Firenze con Mina Gregori e aver svolto il Dottorato di ricerca a Torino con Giovanni Romano, ha ricoperto con continuità in Università Cattolica dal 1998 ad oggi – nelle sedi di Milano e Brescia – la cattedra di Storia delle arti minori, Storia delle tecniche artistiche e, dal 2002, di Museologia. Ha pubblicato numerosi saggi, articoli e contributi su temi in particolare di arte medievale e rinascimentale.

INFO
I nodi dei giardini del Paradiso
fino al 5 novembre 2023
CASTELLO DI BRESCIA
Via Castello 9
https://www.bresciamusei.com/

La mostra “I nodi dei giardini del paradiso” rientra nelle manifestazioni legate a Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023. La mostra è prodotta da Fondazione Tassara e Fondazione Brescia Musei e curata da LETIA – Letizia Cariello e Giovanni Valagussa.

Foto cover: Yarkand, Turkestan orientale, XIX secolo, inizio. Trama in cotone, ordito in cotone, nodi in lana, 384 x 193 cm. Fondazione Tassara, inv 135685. Credito fotografico: Wladimir Zaleski

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